sabato 27 aprile 2013

Onore al Camerata Carlo Vichi . Storia della Mivar

è un'azienda italiana che produce televisori concettualmente originali, da sempre marcati "MIVAR" e costruiti solo in Italia, ad Abbiategrasso, una città di 39.000 abitanti a 20 KM da Milano.



1945 - Milano, Via Ugo Tommei 5: inizia l'attività assemblando piccoli apparecchi radio.

1950 - Via Curtatone 12: si sviluppa con la costruzione diretta dei più importanti componenti radio.

1956 - Via Strigelli 13: vengono prodotti a livello industriale i primi apparecchi a modulazione di frequenza (F.M.).

1958 - Via P. Giordani 30: la televisione è ormai una realtà, alle industrie del settore si impone il raddoppio dell'attività, perciò,

sempre in Milano, si costruisce il primo "vero" stabilimento con 400 dipendenti.

1963 - Abbiategrasso, Via dante 45: sulla scia del decentramento e del dilagante successo della televisione, si costruisce un

importante stabilimento che diverrà operante tra il 1968-70 occupando 800 dipendenti.

1990 - Abbiategrasso, Alzaia Naviglio: consci della fisiologica importanza che la televisione ha nella società moderna, ricchi di

esperienza e di mezzi, si inizia la costruzione di uno stabilimento su un'area di 120.000 m² di cui 30.00 coperti,

30.000 per la viabilità con parcheggi e 60.000 a parco alberato. Tutti, ma soprattutto la concorrenza mondiale,

l'ha definito "unico" per la razionalità operativa e come luogo dove adempiere idealmente alle funzioni economiche della vita.

1930 - 2003
Partendo dagli anni '30, l'industria elettronica italiana ha sempre avuto un ruolo importante nell'economia.
Fu allora che i primi apparecchi radio entrarono nelle famiglie a reddito medio-alto con il nome dei primi costruttori come: BACCHINI - CGE - MARELLI - SAFAR - SUPERLA - PHONOLA - VOCE DEL PADRONE - GELOSO - UNDA e man mano IRRADIO - PHILIPS - MAGNADYNE - WATT - IMCA - DUCATI - MINERVA e qualcun altro.
Certo non eravamo al livello degli stranieri più evoluti, comunque avevamo scuole specializzate diurne e serali e tecnologie più che decenti che se non ci permettevano di competere in campo internazionale, ci garantivano quasi il 100% del mercato italiano.
Da ricordare la radio BALILLA che progettata con caratteristiche standard, fu prodotta da tutte le società citate.
La fine della guerra (1945) diede inizio alla diffusione di massa della radio.
Infatti oltre allo sviluppo delle società esistenti vennero formate nuove società come: INCAR - NOVA - CONDOR - AUTOVOX - VOXON - BRION-VEGA - LIBERTAR - COSMOPHON - SINUDYNE - ULTRAVOX - TRANS-CONTINENTS - SELECO oltre ad una ventina di cosi dette RADIO CANTINA come la MIVAR che però nel giro di un decennio diedero del filo da torcere ai grandi nomi italiani e a quelli stranieri che nel frattempo calavano in Italia con marchi prestigiosi quali: TELEFUNKEN - GRUNDIG - SABA - NORDMENDE - RCA - WESTINGHOUSE - EMERSON - DUMOND - PHILCO - ADMIRAL.
Il confronto con lo straniero venne sostenuto egregiamente dalla nostra industria grazie alla componentistica nazionale che aveva nella GELOSO il suo leader.
Lo sviluppo del settore fu continuo anche perchè la televisione moltiplicò addetti e fatturato fino alla fine degli ANNI '60.
L'inizio degli ANNI '70 segnò l'avvio della sistematica eliminazione dei nomi importanti quindi gradualmente la sparizione di quasi tutte le società della componentistica in quanto cominciarono ad apparire nomi giapponesi con buoni prodotti finiti, ma soprattutto con evoluti componenti che accoppiati alle loro macchine assemblatrici davano vantaggi tali da non lasciare scampo ai nostri costruttori.
Furono infatti i nomi come: SONY - TOSHIBA - SANYO - FUJI - PANASONIC - MITSUBISHI - HITACHI a dare una mazzata agli italiani ed agli altri europei.
Quasi non bastasse tutto questo ecco i coreani con SAMSUNG - ORION - DAEWOO - GOLD STAR e ultimamente i TURCHI che stranamente hanno una produzione di T.V. quattro volte quella italiana.
Malgrado tutto la MIVAR detiene circa il 34% del mercato italiano e produce circa il 55% dei T.V. prodotti in Italia


L’inizio dell’avventura della MIVAR, il maggior produttore di televisori italiani che ha lo stabilimento ad Abbiategrasso, incomincia nel 1945, nell’allora quartiere di Calvairate, in via Tommei. Qui Carlo Vichi, oggi ottantaquattrenne ma ancora saldamente al timone della sua azienda, nel monolocale dove vive produce componenti per radio e assembla piccoli apparecchi, un’attività che alla fine della guerra aveva avuto notevole impulso grazie alla diffusione della radio e che aveva fatto sorgere molte fabbriche italiane importanti.
Dopo aver iniziato a lavorare in una fabbrica di chiodi per tappezzeria Carlo Vichi mette a frutto i suoi studi da radiotecnico e… “In via Tommei, io, ovvero la VAR (Vichi apparecchi radio) - ci racconta il suo fondatore - facevo le radioline economiche. A quei tempi non era facile trovare la componentistica, e allora spesso andavo alla Fiera di Senigallia per trovare qualche pezzo. In seguito quando intuii che la componentistica era importante iniziai a produrla da solo vendendola non solo a Milano ma anche in tutta Italia”. Una curiosità: il rappresentante di Vichi era Marco Ponzoni il papà di Cochi Ponzoni, da sempre in coppia con Renato Pozzetto.
La necessità di spazio per l’ampliarsi della attività si traduce nel trasferimento in via Curtatone nel 1950 dove Carlo Vichi inizia la produzione in proprio della componentistica delle radio.
Quando nel 1955 compare sul mercato la modulazione di frequenza, della quale Vichi capisce le potenzialità avendo fatto già da tempo esperimenti in tal senso, alla VAR si iniziano a produrre le radio con questo nuovo sistema di ricezione. Per fare questo lo spazio di via Curtatone non basta. Qui rimane la produzione dei componenti, mentre l’assemblaggio delle radio viene fatto in un seminterrato di via Strigelli all’angolo con piazzale Martini (dove oggi c’è l’Oviesse n.d.r.). Nuova sede ma anche nuovo nome: anteponendo la sigla MI al logo precedente VAR si trasforma in MIVAR.
Si amplia anche il numero degli occupati che salgono a 200 dipendenti. “Il fatturato mensile crebbe in maniera esponenziale – racconta Carlo Vichi - Passai da otto a trenta milioni in poco tempo. Dalle 100 radio prodotte al mese agli inizi, arrivai con il tempo a produrne cinque-seicentomila all’anno A quei tempi non c’era la concorrenza asiatica come oggi che sta monopolizzando il mercato e mettendo in crisi i produttori che ancora sopravvivono in Europa e in Italia. Potevo vendere le mie radio a metà prezzo di quelle che arrivavano dalla Germania. In via Strigelli eravamo in un seminterrato di una casa all’angolo di piazzale Martini dove la produzione proseguì attivamente con una gamma di 6 modelli di radio. Cambiava la carrozzeria ma il “motore” era comune a tutti”.

A questo punto sorge spontanea una domanda. Via Tommei, via Strigelli, piazzale Martini: quali ricordi ha della zona?
“La zona 4 era un paese nella città ai miei tempi con le case popolari per lo più abitate da operai. Un luogo dove ci si conosceva tutti e io ero conosciuto perché quando c’era bisogno andavo a riparare le radio. Sono stato uno dei primi attorno al 50 ad avere il telefono in duplex con un funzionario della allora Stipel. Ricordo anche piazzale Martini senza gli alberi, tagliati durante la guerra per fare legna, e poi rimessi finito il conflitto. Ricordo i campi dopo viale Molise, alla fine delle case popolari dove c’erano ancora le cascine (Carlo Vichi è nato a Lambrate nella cascina Mulino della Croce e vissuto in via Bertolazzi vicino alla cappelletta di via Conte Rosso n.d.r.). In via Ciceri Visconti c’era quello che chiamavamo “il bastimento” una delle prime case non popolari con gli ascensori. E poi le case minime di via Zama, quelle sempre in Ciceri Visconti e la cascina della Trecca, dove c’erano le “signorine”.
La storia della MIVAR in zona 4 finisce attorno al 1960 con la grande richiesta da parte del pubblico del televisore. Ancora una volta Carlo Vichi capisce l’importanza di questo nuovo mezzo di comunicazione e la MIVAR si allontana da Milano e, dopo una breve parentesi in via Giordani, si trasferisce ad Abbiategrasso nel 1963 rimanendo l’unica ditta italiana contro i grandi gruppi stranieri. Ma questa è storia recente.
 
Carlo Vichi, classe 1923, da sempre appassionato di elettrotecnica, verso l'inizio degli anni quaranta inizia la sua esperienza lavorativa riparando radio in camera da letto (giovandosi del suo diploma di perito elettrotecnico). Nel contempo lavora per la CGE e per la Minerva, per la quale svolge attività di terzista, dopo aver fondato, nel 1945, la VAR (Vichi Apparecchi Radio).

L'attività di produzione [modifica]

La prima attività di produzione iniziò con l'assemblaggio di piccoli apparecchi radiofonici a valvole, che si svolgeva in un piccolo monolocale nel quartiere milanese di Calvairate, dove viveva lo stesso Vichi.[1]
Nel 1950 la ditta passa alla costruzione diretta dei più importanti componenti radio e cinque anni più tardi assume la denominazione attuale.
Nel 1956 vengono prodotti a livello industriale i primi apparecchi a modulazione di frequenza (F.M.).

La produzione di televisori [modifica]

La televisione divenne presto una realtà, e alle industrie del settore si impose il raddoppio della produzione quindi nel 1958, sempre a Milano, viene costruito il primo vero stabilimento con 400 dipendenti.
La Mivar si specializzò nella produzione di apparecchi televisivi, e grazie al successo della televisione si espanse e nel 1963 inaugurò il nuovo stabilimento di Via Dante 45 ad Abbiategrasso, dove nel 1968 vi trasferì tutta l'attività produttiva con circa 800 dipendenti.

La filosofia aziendale [modifica]

Limitando al minimo le spese pubblicitarie, Mivar riuscì ad avere prezzi concorrenziali, inserendosi in un mercato quasi interamente dominato da aziende straniere come quello italiano, ed è una delle poche realtà industriali nell'elettronica di consumo a resistere, non senza difficoltà, alla concorrenza estera.
Quando negli anni ottanta, l'industria italiana dell'elettronica di consumo fu colpita da una grave crisi, Mivar ne rimase pressoché immune, e fu l'unica azienda italiana del settore a non chiedere aiuti finanziari allo Stato.[2] Nel 1988, infatti, l'azienda lombarda ha prodotto 300.000 televisori a colori e 60.000 in bianco e nero, realizzando un fatturato di 176 miliardi di lire e possiede una quota di mercato del 12%, seconda soltanto alla più blasonata Philips.[3]

Gli anni novanta e il nuovo stabilimento [modifica]

Il fatturato di Mivar supera abbondantemente i 200 miliardi di lire.[4] Nel 1990 viene iniziata la costruzione ad Abbiategrasso di uno stabilimento di 120.000 , per la produzione esclusivamente di tv color e con 700 addetti.
Il nuovo stabilimento, ultimato nel 2000, è immerso nel verde. L'impianto sorge all'interno del Parco del Ticino e la sua realizzazione è costata oltre 100 miliardi. Per realizzarlo Vichi ha dovuto sostenere notevoli battaglie legali e amministrative, ma una volta terminato sarà un notevole esempio di efficienza e funzionalità.
La razionalità operativa è stata uno degli obiettivi in fase di progetto e lo stabilimento ha una capacità produttiva a pieno regime di circa 2 milioni di televisori. Questo stabilimento, interamente progettato da Vichi e dai suoi tecnici, è stato finanziato esclusivamente con risorse proprie.
È un luogo di lavoro confortevole e accogliente, uno dei pochi impianti industriali in Italia a disporre di aria condizionata in tutti i reparti e di stanze totalmente insonorizzate.
Si struttura in 30.000 coperti, 30.000 per la viabilità con parcheggi e 60.000 a parco alberato. È attualmente un modello di architettura industriale e di integrazione con l'ambiente naturale.
Prima dell'ultimazione Carlo Vichi diceva: "deve essere una fabbrica speciale, unica al mondo, per produrre televisori con sistemi esclusivi" ma, a causa delle successive difficoltà economiche incontrate dall'azienda, la struttura è ancora inattiva.

Gli anni 2000 e la concorrenza asiatica [modifica]

Alla vigilia del 2000 Mivar è l'azienda leader nel mercato italiano dei televisori, ne detiene una quota del 35% superando nelle vendite anche le multinazionali dell'elettronica, e fattura annualmente circa 350 miliardi di lire.[5] Questo risultato è stato reso possibile con i bassi prezzi di vendita dei televisori, realizzati utilizzando circuitazioni semplificate ed eliminando componenti superflui, anche al fine di migliorare l'affidabilità degli apparecchi.
Proprio a partire dagli anni 2000 si registrano infatti i primi segni di crisi per la Mivar, con il calo delle vendite, dovuto principalmente alla concorrenza dei produttori turchi e asiatici che godono di costi di produzione molto bassi. L'azienda lombarda è perciò costretta a cassintegrare 400 suoi dipendenti nel 2001.[6]

I televisori LCD [modifica]

Nel 2004 entra in listino il 20 LCD1 Stereo, il primo televisore LCD Mivar. È interamente progettato e prodotto dall'azienda in tutte le sue componenti, a eccezione del pannello LCD.
La crisi per Mivar prosegue con l'affermarsi di nuove tecnologie come gli schermi al plasma e quelli LCD. Nel maggio 2005 la Mivar, nonostante produca circa 700.000 apparecchi l'anno[7] è ricorsa nuovamente alla cassa integrazione a zero ore per buona parte della sua forza lavoro; ciò al fine di fronteggiare almeno in parte l'impatto che l'affermarsi di un nuovo standard tecnologico sta avendo sul conto economico dell'azienda.
Nel 2005, l'azienda abbiatense ha presentato il suo primo televisore LCD HD ready. A quell'anno Mivar registrava un fatturato di 40 milioni di euro e controllava una quota di mercato del 8%[8], entrambi nettamente inferiori rispetto a una decina di anni prima.
Nel 2008, Mivar ha sospeso definitivamente la produzione di televisori CRT, a favore di quelli LCD con sintonizzatore incorporato per il segnale digitale terrestre. È dell'inizio 2009, grazie all'abbattimento dei costi dei pannelli LCD all'ingrosso, la messa in commercio di una linea di televisori Full HD.

I TV LED e la situazione attuale [modifica]

Ad aprile 2011 nello stabilimento di Abbiategrasso è iniziata la produzione del primo TV LED. Si tratta del modello 32 LED1 con tecnologia 100 Hz e pannello LCD Edge Led.[9] Nei mesi successivi è iniziata la produzione dei modelli 22, 26 e 19 pollici, mentre a metà 2012 sono usciti dal listino i modelli LCD. A dicembre 2012 è iniziata la produzione del nuovo 40 LED1 anch'esso con tecnologia 100 Hz e pannello LCD Edge Led, affiancato a fine marzo 2013 dalla versione Smart, il primo Smart TV di Mivar.
Mivar non si è mai dedicata all'esportazione dei propri prodotti concentrandosi sul mercato italiano. I tv color sono sempre stati concepiti per avere un'elevata affidabilità e un facile utilizzo.
I primi televisori LCD prodotti erano dotati di elettronica progettata e realizzata da Mivar, mentre successivamente, visti gli alti costi richiesti dalla produzione in Italia si è deciso, pur mantenendo le caratteristiche tipiche dei tv color Mivar, di montare diversi componenti prodotti da terzi, come avviene anche per altre case importanti del settore. Sui suoi televisori Mivar adotta display AUO, LG e Samsung.[10]

Prodotti [modifica]


Mivar 32LED1 100Hz

Mivar 32LED2 100Hz
Attualmente sono in catalogo 7 modelli di televisori LED, tutti certificati SKY HD TESTED e DGTVi con Bollino Silver.
Presentano un sintonizzatore digitale terrestre HD, affiancato da uno slot CI+ compatibile con la SmarCAM HD per la visione della pay tv in alta definizione.
Adottano la retroilluminazione di tipo Edge LED e diverse funzioni di risparmio energetico e rispetto ai modelli LCD adottano una diversa elettronica con un microprocessore più potente, 2 porte USB player, PVR, ed un nuovo software di gestione che presenta anche un'interfaccia grafica completamente rinnovata.
La gamma è composta di 3 modelli a 100 Hz di 40 e 32 pollici, e 4 modelli a 50 Hz di 32, 26, 22 e 19 pollici.
Due i modelli di 40 pollici, di cui uno del tipo Smart TV con sistema operativo Android, in grado di gestire periferiche USB, con connettività alla rete LAN e WiFi integrato.
Tutti i televisori sono caratterizzati da un design molto sottile e da ingombri ridotti. Ogni modello di televisore è prodotto in 3 diversi colori con finitura lucida: nero, titanio e bianco. I modelli da 32 e 26 pollici sono prodotti, oltre che con i colori già citati, anche nella versione nero opaco "soft".
Particolari dei televisori sono: la razionalità costruttiva, l'estetica diversa rispetto ai prodotti concorrenti, e l'onnipresente audio frontale ancora oggi mantenuto su tutti i modelli. Anche i telecomandi risultano coerenti alla filosofia della facilità d'uso e robustezza.


Il Signor Vichi  in alcuni articoli sui giornali :
 
ABBIATEGRASSO Carlo Vichi tira fuori di tasca il portafoglio. Sorride e mostra un cartoncino bianco. C' è un lungo elenco con 39 sigle. Leggiamo: Safar, Bacchini, Imperial, Voce del Padrone, Geloso, Admiral, Brionvega... E' piccolo di statura Vichi, ha 66 anni, la barbetta candida e occhi furbissimi sotto gli occhiali di metallo. Dice: Ecco, questi sono i nomi dei concorrenti, di quelli che hanno gettato la spugna dal 1946 in poi. Mentre io continuo a produrre i miei televisori. E senza spendere una lira in pubblicità. Non ci sono uffici alla Mivar, questo fabbricone rosso piazzato lungo la strada che collega Abbiategrasso a Vigevano. Il tavolo di Vichi è piazzato in mezzo allo stabilimento, chiuso fra le macchine utensili e i tecnigrafi dei progettisti. Così osservo tutto spiega posso parlare con gli operai, mettere a punto l' organizzazzione del lavoro. Vede questo sistema di verniciatura? L' ho progettato io. Qui confessa mi diverto come un matto. Mi occupo di impiantistica, di chimica, di elettronica. Non li capisco quei manager che pensano alla barca, a divertirsi. Vuol dire che sono insoddisfatti, che non amano il loro lavoro. Vichi è l' ultimo dei Mohicani, l' unico privato ancora sulla breccia nel settore del Tv color. Uno dei pochi che tiene a bada i giapponesi. Nel 1988 la sua Mivar ha fatturato 176 miliardi di lire. Gli utili non li rivela. Cerchiamo di provocarlo. Guadagna molto signor Vichi? Miliardi afferma qualche decina. Sì, ma quanti: venti, trenta? La risposta è elusiva, un impercettibile strizzatina d' occhi. Forse abbiamo indovinato. O forse no. Ma per difetto, non certo per eccesso. D' altronde alla Mivar hanno raggiunto dei traguardi incredibili. Nel 1988 l' azienda ha prodotto 300 mila tv color e 60 mila in bianco e nero. L' anno prossimo le vendite rimarranno più o meno le stesse ma verranno concentrate sul colore che consente margini maggiori. Controlliamo rileva Vichi circa il 12 per cento del mercato nazionale. Una quota che pone l' impresa lombarda subito dopo la Philips che vanta un 18-19 per cento. Quanto alla Seleco, l' altro marchio nazionale a maggioranza pubblica attraverso la Rel, la finanziaria di salvataggio nell' elettronica civile, risulta testa a testa con la Mivar per il numero di apparecchi prodotti. Però loro esportano e noi no ricorda Vichi vantandosi di una scelta che farebbe inorridire ogni laureato alla Bocconi Eppoi non abbiamo ricevuto una lira dallo Stato. E la Seleco? Il presidente della Mivar tira fuori dal cassetto un ritaglio di Repubblica del 1987. Legga dice lo avete detto voi quanti soldi hanno avuto. Ha ragione signor Vichi abbiamo scritto che Seleco ha incassato 128 miliardi di sovvenzioni statali. Ed è anche per questo motivo che il suo successo risulta così sorprendente. Adesso il presidente della Mivar è a suo agio. Tira fuori di tasca un altro foglietto e ci mostra la legge dei cinque zeri. Il ferreo codice che regola il comportamento della società. Spiega: Zero lire spese in pubblicità. Zero licenziamenti per mancanza di lavoro. Zero ore in cassa integrazione. Zero sovvenzioni pubbliche. Zero prodotti venduti senza essere costruiti in fabbrica. Eh no Vichi, almeno questa storia della pubblicità ce la deve spiegare. La pubblicità risponde è come la droga. Quando cominci sei costretto ad aumentare la dose. Io, invece, ho preferito crescere piano piano nel corso di 4O anni. Tutto da solo, con le mie forze. Ho cominciato nel 1946 costruendo radio. Dieci anni dopo sono passato agli apparecchi televisivi. Ho fabbricato prodotti puliti e ben fatti. Garantisco l' assistenza diretta ai clienti. Mentre i miei prezzi sono inferiori del dieci per cento a quelli dei concorrenti. E' sbalorditivo. Questo omino sempre in movimento, questo ex-operaio giunto a Milano da un paesino della Maremma smentisce tutte le regole del management moderno. Non esporta e se ne vanta. Recita: E' inutile vendere all' estero quando metà del mercato italiano è in mano alle importazioni. Dei dirigenti fa volentieri a meno tanto dice non mi servono. Gli impiegati sono pochissimi, una quindicina su circa 700 dipendenti. E sono quasi tutti concentrati in un appartamentino di Milano a occuparsi di amministrazione e fisco. Qui da noi aggiunge non ci sono guardie che controllano gli operai. Ognuno sa quello che deve fare. Adesso le faccio vedere. E' un ragazzo quello che ci guida per lo stabilimento. Scarpina su e giù con la rapidità del podista. Fa fatica stargli dietro mentre mostra la produzione dei circuiti stampati, le macchine per il montaggio dei pezzi, l' assemblaggio e l' iscatolamento finale. Quasi tutta l' impiantistica ce la facciamo in casa. Certo, abbiamo qualche macchina giapponese. Però sono state tutte modificate. Mentre attraversa i reparti Vichi saluta operai ed operaie. Fa qualche battuta, ride. Gli chiediamo come sono i rapporti col sindacato. E' come dalle altre parti. Forse qui scioperano un po' di meno. D' altronde mi vedono dalle otto del mattino alle otto di sera che lavoro con loro in stabilimento. E quindi non è facile dipingermi da padrone parassita che passa il suo tempo in ufficio. Ma adesso le faccio vedere la mensa. Non c' è che dire, la pasta e fagioli della Mivar non è male. E il pollo con le olive tenero e croccante. Da noi dice l' industriale non mangerà mai precotti. Poi presenta la moglie che è anche mia cugina, una signora gentile vestita semplicemente. Chissà di cosa parlano la domenica i coniugi Vichi. Non è un mistero ribatte lui di lavoro. Poi guardiamo la Tv. Con un mestiere come il nostro non se ne può fare a meno. D' estate torniamo qualche giorno al paese, vicino a Grosseto. A 66 anni suonati Carlo Vichi pensa al futuro. Ho buone probabilità di avere un decennio davanti a me. E desidero lasciare una traccia. Finora ho fabbricato televisori. Beh, voglio farlo meglio di adesso. E quindi costruirò uno stabilimento che sarà il più bello e il più razionale. Ho già acquistato il terreno qui ad Abbiategrasso. Sarà un ambiente ideale: 30 mila metri quadrati coperti su due piani con una superficie destinata alla produzione di 44 mila metri, 30 mila metri a parcheggio e 60 mila metri destinati a parco. Progetti faraonici. Una vera e propria cattedrale dedicata alla televisione. Un tempio, la Metropolis del tubo catodico, la fabbrica dei sogni industrializzata. Bisogna crescere dice Vichi e gli brillano gli occhi Lo chiamerò Domo questo stabilimento a ricordare il Duomo e la domus dei romani.
 
 
 
MIVAR, MIRACOLO AD ABBIATEGRASSO
Abbiategrasso NEL 1988 ha prodotto 311 mila tv color, l' anno dopo 367 mila e alla fine di questo 1990 la Mivar (Milano Vichi Apparecchi Radio) sfiorerà il tetto dei 420 mila pezzi aggiudicandosi il 14 per cento del mercato italiano. Solo il colosso multinazionale Philips riesce a fare di meglio, controllando il 20 per cento del settore. Al contrario della Philips, però, alla Mivar finora non hanno mai licenziato nessuno. Non c' è male per una società tutta italiana che si basa sulla legge dei cinque zeri, un ferreo codice di comportamento che contrasta con i precetti del management moderno. Zero lire spese in pubblicità -recita Carlo Vichi padre-padrone dell' azienda- Zero licenziamenti per mancanza di lavoro. Zero ore in cassa integrazione. Zero sovvenzioni pubbliche. Zero esportazioni. Eppure, incredibilmente, il Vichi pensiero finora ha funzionato. La pubblicità sentenzia l' industriale è come la droga. Quando cominci sei costretto ad aumentare progressivamente la dose. Ed ecco il motivo del rifiuto categorico dell' export: L' Italia importa il 50 per cento degli apparecchi televisi acquistati. E io non voglio perdere tempo e denari in altri mercati quando è più facile riconquistare posizioni da noi. Dobbiamo combattere sul nostro terreno, quello che conosciamo meglio. E per dimostrare che non racconta balle Vichi tira fuori dal portafoglio un cartoncino bianco. Sorride e si mette a leggere: Safar, Bacchini, Imperial, Voce del Padrone, Geloso, Admiral.... L' elenco è lungo. Si tratta dei 39 nomi delle aziende di apparecchi radio e tv che hanno gettato la spugna dal 1946 ad oggi. Mentre io precisa sono sempre qui e la gente continua ad acquistare i miei televisori. Le ragioni per stupirsi del fenomeno Mivar non mancano. Chi potrebbe immaginare che questo fabbricone rosso piazzato lungo la strada che collega Abbiategrasso a Vigevano sia del tutto privo di uffici? Il tavolo metallico di Vichi è piantato in mezzo allo stabilimento, stretto fra le linee di montaggio e i tecnigrafi dei progettisti. Mentre gli impiegati, confinati in un appartamentino della periferia milanese, sono solo una quindicina e si occupano di amministrazione e fisco. Quanto ai manager nessuno li ha mai visti. I manager dice l' uomo che ha fatto della Tv il suo idolo non servono a niente. Io passo l' intera giornata in mezzo alla fabbrica. Così osservo tutto, metto a punto la produzione, parlo con gli operai. E progetto anche l' impiantistica. Qui è tutto fatto in casa. Certo ammette compriamo qualche macchina giapponese ma poi la modifichiamo a modo nostro. Piccolo di statura, barbetta candida ed occhi furbissimi Carlo Vichi è l' ultimo dei Mohicani, l' unico immprenditore privato italiano che si ostini a produrre televisori. Certo, c' è la Seleco ma si tratta di un gruppo pubblico che fino a pochi anni fa ha munto centinaia di miliardi dallo Stato. Mentre la Mivar continua a guadagnare anche se l' entità degli utili rimane rigidamente top secret. In passato Vichi si è lasciato sfuggire che i profitti sono di qualche decina di miliardi. Ma i dettagli si rifiuta di rivelarli. D' altra parte che i quattrini non manchino lo conferma indirettamente lo stesso imprenditore, confidando che nei prossimi 5 anni la società investirà almeno 100 miliardi per costruire la più grande e moderna fabbrica di Tv-color del paese. Il nuovo stabilimento sorgerà sempre ad Abbiategrasso su di un area coperta di 44 mila metri quadrati, a cui se ne aggiungeranno 34 mila a parcheggio e altri 60 mila a parco. I lavori sono iniziati da alcuni mesi. Ma prima di completare i terrapieni ed edificare l' impianto bisognerà attendere il 1995. Lo chiamerò Tempio dice Vichi perchè sarà il tempio della televisione. Alla Mivar, infatti, sono convinti che il mercato televisivo italiano sia destinato a crescere notevolmente. I motivi sono fondamentalmente due: 1) Il progressivo declino delle riparazioni in favore della sostituzione degli apparecchi vecchi con quelli nuovi. 2) Un futuro sensibile abbassamento dei prezzi che diffonderà nelle famiglie l' abitudine del secondo o terzo televisore. In attesa del 2000 l' espansione dell' azienda non conosce soste. Il budget del 1991 si attesta poco al di sotto dei 480 mila pezzi. Ma la novità è un altra. A partire da quest' anno, infatti, la società di Carlo Vichi è cresciuta nei prodotti a maggior valor aggiunto come gli apparecchi a grande schermo, oltre i 20 pollici. E il fatturato dai 175 miliardi del 1988 è passato ai 187 miliardi del 1989 mentre nel 1990 il traguardo dei 200 miliardi dovrebbe essere tranquillamente superato. Nei primi sei mesi di quest' anno commenta Vichi il mercato ha tirato molto per i campionati del mondo. Adesso si è un po' calmato. Ma per noi va bene lo stesso. D' altra parte la strategia della Mivar per contenere le spese ed accrescere la redditività è da alcuni anni sempre la stessa: aumentare la produzione del 10-15 per cento ad ogni esercizio mantenendo sempre gli stessi 700 operai. Un risultato ottenuto grazie ad un ricorso massiccio all' automazione in tutti i particolari del processo produttivo. Altrettanto infallibile la strategia di vendita: prezzi di listino inferiori del 10-15 per cento a quelli dei concorrenti. Ma se facciamo il confronto con alcune marche molto conosciute precisa l' imprenditore i miei televisori vengono a costare il 30-40 per cento in meno. E pensare che Carlo Vichi aveva cominciato nel dopoguerra aggiustando gli apparecchi radio. Nato nel 1923 a Montieri, un paesino della Maremma, Carletto era arrivato a Milano a soli sette anni. I Vichi erano gente modesta e l' infanzia del futuro imprenditore è dura come in tutte le più collaudate success story. Piccolo di statura ma sveglio e tastardo il giovane Vichi riesce a strappare senza difficoltà un diploma da radiotecnico. Ancora oggi, infatti, il suo unico hobby è quello di smontare e rimontare a casa i televisori dei concorrenti. Io mi occupo di impiantistica precisa di chimica e di elettronica. Non li capisco questi manager che pensano alla barca, a divertirsi. Vuol dire che sono insoddisfatti, che non amano il loro lavoro. Alla fine degli anni ' 40 mettersi in proprio non era facile. Il primo laboratorio di Carlo Vichi e della moglie Annamaria è nella camera da letto del loro miniappartamento milanese. E quando i due coniugi assumono i primi lavoranti debbono rinunciare a gran parte della loro privacy. Noi si lavorava fino a notte ricorda e Annamaria non poteva cambiarsi. Doveva andare a nanna con il maglione e la gonna. I sacrifici, però, saranno ripagati. Il denaro e il successo sono già dietro l' angolo. Nel giro di una decina d' anni la ditta s' ingrandisce, sforna un migliaio di radio al giorno e occupa uno scantinato. Ma il vero colpo di fulmine, quello che avrebbe cambiato la vita all' imprenditore d' origine toscana avviene nel 1957, con la fabbricazione del primo televisore in bianco e nero. Da quel momento lo sviluppo si accelera. Nel 1969 viene inaugurata la fabbrica di Abbiategrasso e il fatturato si espande inesorabilmente. Vichi capisce che lo schermo Tv può fare la sua fortuna. E nei confronti della scatola nera concepisce una sorta di venerazione. In cosa si distingue l' uomo dalla bestia? lo sentono dire i suoi operai Si distingue che l' uomo ha il televisore!. In realtà Vichi non ha mai avuto grosse rogne col sindacato. Certo, qualche sciopero c' è stato, i contratti a volte sono risultati burrascosi e i momenti di tensione durante gli anni ' 70 non sono mancati. Ma Carletto è un padrone che si mimetizza con l' abilità di un attore consumato. Eccolo scarpinare su e giù per la fabbrica con la sua giacchetta lisa e una camicia di lana. Sembra un operaio come tanti, anzi di metalmeccanici con l' aria così dimessa non ce sono poi molti. Mi vedono in fabbrica dalle 8 del mattino alle 8 di sera afferma e quindi non mi possono accusare di essere un padrone parassita. E la domenica? Che diamine, guardo il televisore.







- Il saluto di Carlo Vichi è cordiale. Però è romano. E fa un certo effetto. Come appare strano, almeno in una fabbrica, un angolo addobbato in quel modo. Un leggìo con un gigantesco e prezioso libro intitolato «Un uomo chiamato Mussolini», due foto del Duce in posa imperiale, un disegno datato 1938 dove Benito divide la scena con Adolfo. Ma ad Abbiategrasso, nella sede della Mivar, televisori made in Italy, i dipendenti ormai ci hanno fatto l' abitudine. Perché il capo, così lo chiamano tutti, è proprio un fascista vero. E visto che ormai ha compiuto 77 anni, pare complicato fargli cambiare idea. A suo vantaggio, poi, c' è da tenere conto che dal nulla è riuscito a creare un colosso che oggi detiene il 35 per cento del mercato nazionale dei tivucolor e fattura ogni anno qualcosa come 350 miliardi. Con la meritata stima degli oltre 600 lavoratori e pure il rispetto di gran parte dei suoi avversari. Sentimenti che però, a dire il vero, non sembrano affatto ricambiati. «Mica voglio bene a quelli lì, io» si incattivisce subito il Vichi. «E' gente che non sa guardare avanti, che vive con la massima aspirazione dell' uovo oggi. Sono condizionati e manovrati dai sindacalisti, la vera rovina del Paese». Un giudizio severo. Forse evidenziato dal fatto che, proprio di questi tempi, un bel gruppo di operaie ha fatto causa all' azienda per questioni di salario. E il pretore, in prima battuta, ha pure dato loro ragione. «Ma io me ne frego» cita senza volerlo proprio il Duce. «Anzi, sono talmente deciso a non cedere... che sono pure pronto a bruciare il nuovo stabilimento dove dovremmo trasferire tutta la produzione». Un complesso gigantesco già pronto e studiato il più possibile per rendere meno dura la vita di chi lavora. Perché il camerata Carlo è fatto così. Pronto a commuoversi parlando del «glorioso ventennio». Provocatorio nell' esaltare l' «eroico biennio». (Lui che non ha mai messo la camicia nera e non è mai stato iscritto al Partito e dopo l' 8 settembre si è pure «imboscato». Lui che però, adesso, tutti gli anni al 28 di ottobre se ne va in giro con la cimice all' occhiello). E invece immediato nell' inferocirsi quando gli saltano in mente «quegli anni maledetti». Il ' 68, il ' 69... «Fu un terremoto. Per quasi cinque anni, arrivavo in fabbrica solo dopo le cinque del pomeriggio. Per non incontrare quella marmaglia sovversiva, quei barbari». A suo dire, ieri come oggi, tutte pedine di un grande «complotto». «Da almeno trent' anni è in atto un disegno volto a eliminare l' elettronica italiana. Una sporca manovra del potere economico e democratico. Basta guardarsi in giro. Tutti i bei nomi del settore sono scomparsi. Resisto solo io. Perché non sono uno che molla tanto facilmente». Sulla breccia dal 1945. Un diploma da radiotecnico e tanta voglia di sfondare. Ecco la Var, «Vichi apparecchi radio». Una fabbrichetta messa su alla buona. Alla grande svolta nel 1958. Con la scelta di costruire televisori. E un omaggio alla città che sapeva regalare sogni di grandezza: la Var che diventa Mivar. Il televisore targato Milano. E arriva il successo. Quello che fa rima con miliardi. Senza che il Vichi cambi il suo essere. Perché lui è un lavoratore e non sarà mai un capitano di industria. Con quel vestire incurante della moda e magari un po' trasandato. Con quel buttare in faccia tutto quello che ha dentro. Con quell' infischiarsene delle regole del business. «Mai fatto uno spot pubblicitario» batte il pugno sul tavolo. «Il mio segreto? La qualità e i prezzi buoni. Soprattutto, tenere in considerazione il cliente. Offrendo televisori pratici e funzionali. Anche l' assistenza. E' il passaparola la nostra forza». Il camerata Carlo e la fabbrica. La sua vera casa. Sette giorni su sette. Senza nemmeno un ufficio, senza nemmeno una scrivania. «Perché un capo per farsi rispettare deve essere sempre in trincea, deve dare il buon esempio: mica deve starsene nascosto» lancia un occhio a quelle foto nell' angolo. «Non si può discutere un capo. Si deve obbedire e basta. Credere, obbedire e combattere». Mentre oggi... La politica... «Mai avuto favori dalla politica. Io ho lavorato e basta. E' dal ' 48 che non voto». E D' Alema? «Una figura messa lì non so da chi». E Berlusconi? «Uno che la pagherà cara». E Bossi? «Un clown». E Fini? «Che persona spregevole». Mentre Vichi? «Un uomo che dopo 30 anni di mortificazioni non è stato ancora domato. Che lotta per evitare l' annientamento della sua libertà e della sua dignità». Senza compromessi. Senza cedimenti. E senza sentimentalismi. Anche se poi fatica a mascherare un sorriso quando parla dell' Alma. Che lavora con lui da 45 anni. Era un' operaia e oggi fa la direttrice. Anche se poi non riesce a nascondere l' emozione raccontando la sua meravigliosa storia d' amore con Annamaria: «sposati da 56 anni», «lei meno aggressiva», «davvero una gran donna», «lavora ancora qua con me». I quattro figli «così diversi» e gli otto nipoti «che sono degli sconosciuti». Buttata là così. Con freddezza. Anche se poi... «Come nonno, sono proprio uno zero. E pensare che io il mio lo adoravo... Il fatto è che non ho mai avuto tempo...». Carlo Vichi che borbotta qualcosa e indossa un giaccone. Sulla spalla c' è un pezzo di scotch. L' ha messo lui per tappare uno sbrego. Mentre la cerniera non è proprio riuscito a ripararla. Carlo Vichi che corre nell' immensità del suo nuovo stabilimento. Roba da 150 miliardi, pagati in contanti o quasi. Sarebbe un peccato bruciarlo.


http://www.youtube.com/watch?v=2ql3gBPiHG4

http://www.youtube.com/watch?v=WNXCk_i3NhI















































Il Sig Vichi

I Mondiali di Spagna del 1982. La vittoria di Alberto Cova ai primi Mondiali d’atletica di Helsinki, nel 1983. Le Olimpiadi di Los Angeles del 1984 e di Seul nel 1988, che sancirono il disgelo sportivo capace di anticipare il crollo del Muro di Berlino. La vittoria della nazionale di basket agli Europei del 1983, in Francia. Cosa accomuna questi eventi, al di là della nostalgia? Il fatto che oltre un terzo degli italiani, dal divano di casa o dal bancone di un bar, li abbia seguiti davanti a un televisore Mivar, la fabbrica fondata a Milano nel 1945 da Carlo Vichi, classe 1923, e dal 1963 stabilmente insediata ad Abbiategrasso, città della provincia milanese balzata agli onori della cronaca negli anni Ottanta grazie a un discorso di Ciriaco De Mita, dal palco di un congresso della Democrazia Cristiana.
La Mivar raggiunse, tra gli anni Ottanta e la fine degli anni Novanta, una quota del mercato italiano del televisore oscillante tra il 30 e il 35%. Fatturava dai 220 ai 350 miliardi annui di vecchie lire, occupando circa 800 addetti (più l’indotto). La storia di Mivar è da raccontare all’imperfetto, perché dal 2001 la creatura di Carlo Vichi è in lenta ed inesorabile agonia. Al 31 marzo scorso risale la sanguinosa firma su un accordo sindacale, l’ennesimo, che porterà la forza lavoro a sole 25 unità, tra ricorsi a cassa integrazione straordinaria, mobilità e accompagnamento alla pensione per i pochi fortunati che ne potranno usufruire.
Impresa più unica che rara nel panorama economico ed imprenditoriale, Mivar è nata e vissuta sempre all’ombra del suo pittoresco fondatore, un toscano poco avvezzo ai ricevimenti, che trascorreva (e trascorre) 350 giorni l’anno in fabbrica, sabato e domenica compresi. Mivar, che ha sempre rifiutato di spendere un euro (o una lira del vecchio conio) in pubblicità, ha sempre diffidato dall’ingaggio di manager e dirigenti. Vichi, monarca assoluto, ha regnato senza mai disporre di un vero ufficio. Sedeva, siede, a un tavolo di legno, gli stessi abiti o quasi da mezzo secolo. La combinazione tra affidabilità del prodotto e prezzo concorrenziale, l’inarrivabile servizio di assistenza interno, dove i clienti portavano i loro televisori, li riponevano su un carrello, li facevano esaminare dai tecnici e li vedevano riparati in pochi minuti, hanno contribuito ad alimentare il mito di Vichi e ad inanellare successi economici per decenni. L’industriale che invitava i giornalisti economici più famosi (abituati a lussuosi pranzi d’affari da Marchesi in Bonvesin de la Riva, dal Giannino d’antan o alla Scaletta di Pina Bellini) a consumare il pasto nella mensa, a fianco e assieme agli operai. E guai ad avanzare qualcosa, perché il Vichi imprecava, eccome se imprecava…
Nel 1984, chevalier seul, Cassandra inascoltata, Vichi pronuncia in Consiglio comunale ad Abbiategrasso un discorso che preconizza la fine dell’industria elettronica in Italia ed in Europa e il trionfo della Cina e dell’Asia a scapito della vecchia Europa, del Giappone e degli Usa. Ma nessuno gli conferisce una laurea honoris causa. Vichi si arrende al gigante asiatico dopo aver visto i suoi concorrenti cadere uno ad uno, persino la Turchia che ancora dieci anni fa produceva milioni di televisori. Oggi la Mivar ne produce cento al giorno, contro le migliaia e migliaia di un tempo. Il futuristico e avveniristico nuovo stabilimento, realizzato nel 1990 con fondi propri (100 miliardi di lire, zero lire dallo Stato o dalle banche), è una sorta di cattedrale nella pianura padana, mai attivata per disaccordi con il sindacato e per la successiva, ed impietosa, battaglia dei prezzi che ha visto trionfare i grandi nomi dell’elettronica con gli occhi a mandorla.
Certo, Vichi avrà anche perso la battaglia della modernizzazione, avrà sottovalutato la portata innovativa di Lcd e tv a Led. Però è sintomatico che un uomo come Carlo Vichi, alla soglia dei 90 anni, ceda il passo al cospetto di famelici speculatori e degli inventori di strumenti diabolici come i derivati o i Credit Default Swap. Perché sebbene sui generis, e Indiscreto lo rivela in esclusiva, Vichi è il padrone che per decine di volte ha pagato le rate di mutuo a operai in difficoltà, anche se iscritti al Pci (Vichi è un cultore del Ventennio mussoliniano), senza mai chiedere nulla in cambio. Vichi è il padrone che a Natale, il 21 o il 22 dicembre, prelevava 250 milioni di lire in contanti e li distribuiva ai suoi operai e alle sue tante operaie, i più meritevoli. Vichi è il padrone, per chiamare le cose con il loro nome (che non è CEO), che ha sempre aiutato lavoratori in difficoltà, purché leali con lui e la sua azienda. Paternalismo da buttare? Forse chi è in mezzo a una strada butterebbe prima di tutto l’economia finta.Adesso che il sole si accinge a tramontare per sempre, sull’impero della Mivar, siamo certi che qualcuno non esiterà a dirsi soddisfatto. Che qualcuno sogghignerà divertito, mentre in suo editoriale ci spiega che il futuro è l’Asia. Cazzi vostri. Tenetevi i banchieri inamidati che rifilavano bond Parmalat ai vecchi con il bastone, tenetevi i paperoni delle merchant bank, i private banker, i future banker e i killer banker. Noi ci teniamo stretti il camerata Carlo Vichi, l’adoratore del Ventennio, l’unico che ebbe l’ardire di scrivere al senatore Giovanni Agnelli che gli operai meritano un pranzo decoroso, da consumare in tempi ragionevoli, perché sono uomini e non macchine. Ci teniamo Carlo Vichi, che ha tenuto in piedi le vecchie banche popolari del territorio, che hanno sempre finanziato la piccola e media impresa lombarda, e non certo avventurieri dai capelli ingellati. Ci teniamo Carlo Vichi. Altri tempi, altre imprese. Ma soprattutto altri uomini. E tutti gli altri, come disse il grande Giannibrerafucarlo, che vadano pure a scoa’ el mar.