Salta all’occhio l’incredibile attualità delle tematiche affrontate nei testi. Si va dalla critica al consumismo di Ma è un canto brasileiro, alla sfida alla Chiesa cattolica della title track, altro fiore all’occhiello dell’album.
Sorprendente invece è la scelta artistica de La canzone della terra, con un ritmo tribale tambureggiante che fa da base ritmica al pezzo e la voce del cantante in sottofondo nella prima parte del pezzo. Ne Le allettanti promesse si delinea perfettamente il carattere battistiano, la sua misantropia, la sua pascoliana chiusura nel nido familiare e l’incapacità di inserirsi in contesti sociali giudicati soffocanti. “Potrai un giorno avere anche dei figli” sentenzia una celestiale voce di donna che lo invita ad abbandonare una casa rurale per abbracciare la vita di paese. “Per poi farli diventar così\ preferisco allevar vitelli e conigli”… Il concetto è chiaro e nemmeno poi così ermetico a differenza della scelta artistica adottata dal duo e poi abbandonata in fasi successive. Io gli ho detto no è una canzone d’amore con retrogusto quasi progressive, che mette a nudo quanto Battisti fosse attento a quello che accadeva musicalmente all’estero, specialmente oltremanica.
Prendi fra le mani la testa, anche se impeccabile musicalmente, è forse il punto debole dell’album a livello di testo. Chiude questo splendido album Questo inferno rosa, un’altra splendida canzone d’amore che ingiustamente non ebbe l’impatto col grande pubblico che ebbero suoi pezzi più fortunati, ma forse questo accresce il valore del brano.
Il nostro caro angelo è uno scrigno che contiene gioielli imprescindibili per chi ama quest’artista e la musica italiana nel senso meno classico del termine. Battisti può essere criticabile come tutti. Può darsi che non abbia avuto una gran voce, che abbia peccato di presunzione, ma è impressionante quanto fosse avanti e all’avanguardia e quanto apparivano tragicamente piccoli tanti suoi colleghi al suo cospetto.